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Architetti e ingegneri nella storia

Nell’antichità e per buona parte del Medioevo i costruttori si chiamavano architetti o meccanici. Il nome di ingegnere compare verso il dodicesimo secolo: coloro che sono addetti alla manutenzione delle strade e dei corsi d’acqua e alla realizzazione dei primi catasti vengono chiamati "pubblici aestimatores, libellatores aquarum, inzigneri". Un decreto di Lodovico il Moro, stabilisce una distinzione fra i "magistri fabrorum", ingegneri e architetti e i "periti aestimatores", geometri, fissando per questi ultimi una tariffa meno elevata.

Il collegio degli Ingegneri

Dalla metà del XVI secolo nello Stato di Milano il conferimento della “patente” di ingegnere spetta al Collegio degli Ingegneri, un organo corporativo al quale compete la tutela della professione e la verifica del possesso dei requisiti professionali (il tirocinio) e di nascita (l’appartenenza a una famiglia socialmente distinta) richiesti per l’esercizio della professione. Con l’arrivo di Napoleone, il Collegio degli Ingegneri viene soppresso e la formazione degli ingegneri avviene in ambito universitario per la parte scientifica e presso lo studio di un ingegnere abilitato per la parte pratica.

La nascita dell'Istituto Tecnico Superiore

Il fermento evolutivo che si manifesta in Lombardia a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, peraltro frenato da numerosi limiti di natura politica, sociale ed economica, induce gli intellettuali più attenti a quanto avviene in Europa a considerare l’intelligenza un fattore economico al pari dei capitali, della manodopera, delle infrastrutture. A favore di uno sviluppo dell’istruzione tecnico-scientifica, indicata come “una delle principali fonti di progresso”, si esprimono sia i gruppi imprenditoriali più consapevoli delle esigenze della nuova agricoltura e delle attività manifatturiere in fase di crescita, sia gli intellettuali e gli economisti impegnati nel promuovere il processo di modernizzazione del Paese. Con la fondazione del Politecnico, esso diviene il fulcro di tutte le iniziative formative e divulgative in ambito tecnico-scientifico, il centro propulsore della ricerca applicata e il luogo di sperimentazione e di prove per conto terzi al quale ricorrono gli imprenditori.

Il 29 novembre 1863 Francesco Brioschi, uomo politico, illustre matematico e idraulico, già Rettore dell’Università di Pavia e Segretario Generale del Ministero della Pubblica Istruzione, nel suo duplice ruolo di Presidente del Consiglio direttivo dell’Accademia Scientifico-Letteraria, nucleo originario della futura Università degli Studi e di fondatore e Direttore dell’Istituto Tecnico Superiore, il primo Politecnico d’Italia, inaugura i due atenei sottolineandone gli “scopi comuni e speciali” e la loro rispondenza ai “bisogni intellettuali e materiali del paese”. Nella stessa occasione Francesco Brioschi indica i due elementi caratterizzanti l’Istituzione nel coordinamento fra gli insegnamenti scientifici di base e gli insegnamenti tecnici e nella specificità di questi ultimi, un principio che prefigura l’articolazione del corso di studi in specializzazioni. L’Istituto Tecnico Superiore si ispira al modello dei politecnici di area tedesca e svizzera e promuove una cultura tecnico scientifica imperniata sulla specializzazione e in grado di contribuire allo sviluppo del Paese. Inizialmente limitato al triennio di applicazione e ai due indirizzi in Ingegneria Civile e Industriale, l’Istituto nel 1865, per iniziativa di Camillo Boito e attraverso l’interazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, si arricchisce della Scuola per Architetti e nel 1875 si completa con la Scuola preparatoria biennale.

Giuseppe Colombo, successore di Brioschi alla direzione del Politecnico, ricorda il suo predecessore come un grande studioso che alla matematica “la vera, la grande passione della sua vita […] consacrava tutti i ritagli di tempo; cui attendeva nella tarda notte, trovando nei suoi studi prediletti, i più ardui che la mente umana possa concepire, un vero riposo, un compenso alle noie, alle difficoltà, alle traversie della vita, ritemprandovisi, anzi, e attingendo alla pura fonte della scienza la forza per superarle.”

“L'Asilo Brioschi”

Per la severità con la quale è diretto e per le rigide disposizioni disciplinari, l’Istituto Tecnico Superiore è ben presto ribattezzato dagli studenti "Asilo Brioschi". La frequenza è obbligatoria e le assenze devono essere giustificate dai genitori o dal medico la cui firma deve essere autenticata dal sindaco del paese di residenza. Gli studenti sono tenuti a seguire le lezioni, che si svolgono dal lunedì al sabato pomeriggio, a partecipare ai laboratori, definiti "manipolazioni", alle esercitazioni pratiche, alle verifiche scritte e alle "corse scientifiche", viaggi di istruzione che hanno come meta sia gli opifici, i centri industriali e le costruzioni civili, sia le esposizioni industriali internazionali e le città d’arte. Nel corso di queste visite gli studenti osservano i processi produttivi più innovativi per discuterne successivamente durante le lezioni.

All’inizio il corso di studi è limitato al triennio di applicazione e per esservi ammessi è necessario aver frequentato e superato gli esami del biennio di una Facoltà universitaria di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, mentre dal 1875, con l’attivazione del biennio preparatorio, l’immatricolazione avviene subito dopo la maturità. Nel primo anno di attività dell’Istituzione "per circostanze straordinarie" le lezioni iniziarono il primo dicembre, ma di norma l’anno accademico andava da metà novembre alla fine di luglio "limitando le vacanze ai giorni di festa e ad altri dieci giorni nel Carnevale e in prossimità delle feste di Pasqua". Gli esami di profitto si svolgevano tra la fine di luglio e la prima settimana di agosto e quelli di laurea nella parte centrale del mese di agosto. Essi si svolgevano all’ombra del pronao della cappella del palazzo della Canonica, dove “su semplici panche sedevano in abito da cerimonia – stiffelius e cilindro – i docenti esaminatori. Al centro Francesco Brioschi teneva davanti a sé un cilindro colmo di foglietti arrotolati su cui erano scritte le domande d’esame. Nel cortile, al sole, su identiche panche stavano gli esaminandi in attesa di essere chiamati in ordine alfabetico a estrarre un certo numero di foglietti e fare in seguito su di essi – più o meno – sfoggio della propria erudizione. Dopo un breve conciliabolo tra professori, l’allievo in piedi davanti agli esaminatori, veniva giudicato e, se il caso, laureato”.

Alla laurea seguiva il rito del ritratto, una fotografia di gruppo dei laureati dell’anno che veniva prima esposta nelle vetrine dei negozi del centro di Milano, poi, secondo la testimonianza dell’ingegnere "elettricista" Carlo Emilio Gadda, era collocata nel corridoio della segreteria, nella sede di piazza Cavour, o "nella sala [del Consiglio] in grandissimo onore" nella nuova sede di piazza Leonardo da Vinci.

I primi studenti e le poche studentesse

Nel primo anno di funzionamento, gli iscritti sono una trentina più sette uditori, studenti ammessi a singoli corsi “allo scopo di acquistare quelle condizioni, per difetto delle quali non poterono essere accettati quest’anno come scolari, e prepararsi così a divenirlo nell’anno prossimo”. I primi laureati sono del 1865 e sono 25. Negli anni seguenti iscritti e laureati crescono progressivamente fino alla Prima Guerra Mondiale. Verso la fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, in concomitanza con l’avvio del processo di industrializzazione, il numero degli ingegneri industriali (fino ad allora minoritario) comincia ad aumentare e alla fine del secolo uguaglia e poi sopravanza quello degli ingegneri civili. Questi stessi anni fanno registrare le prime presenze femminili: la prima iscritta, Tatiana Wedenison, è del 1888, ma per avere la prima laureata, Gaetanina Calvi, ingegnere civile, si deve attendere il 1913; qualche anno dopo, nel 1918, si laurea in Ingegneria Industriale Maria Artini, la prima elettrotecnica italiana. Nel settore dell’Architettura, le prime laureate, Carla Maria Bassi e Elvira Morassi, sono del 1928. Negli anni seguenti la presenza femminile al Politecnico diviene una costante, seppur numericamente esigua e alla metà degli anni Quaranta su circa novemilacinquecento laureati, le donne sono un centinaio.

Più in generale, la crescita del numero dei laureati nel corso del XX secolo è irregolare: all’incremento nel periodo giolittiano, seguito dall’impennata degli anni 1919-22, dovuta alle agevolazioni concesse agli studenti reduci di guerra, segue un periodo di regresso imputabile sia all’applicazione della legge Gentile sull’ordinamento universitario, che limita l’accesso all’istruzione superiore ai provenienti dal liceo e introduce l’obbligo dell’esame di Stato per l’esercizio della professione, sia alla crisi economica dei primi anni Trenta. Il “boom” delle iscrizioni e, seppur in misura minore, dei laureati è, tuttavia, da ascrivere alla seconda metà degli anni Sessanta, una crescita consolidata caratterizzata da una presenza femminile complessivamente contenuta a Ingegneria (pur con le eccezioni di Bioingegneria, di Ingegneria Gestionale, di Ingegneria del Territorio), più consistente ad Architettura, dove nei primi anni Novanta si verifica il cosiddetto “sorpasso rosa” e pari al 50% degli iscritti a Disegno Industriale alla fine degli anni Novanta.